Mauro Corradinicenni critici

L’ARTE COME PASSIONE ED EMOZIONE NELL’OPERA PITTORICA DI VASCO CORRADELLI.

Testo di Mauro Corradini. Maggio 2006.

1. Ci sono storie segrete di artisti che a volte non riescono nemmeno ad emergere a volte emergono Più lentamente; le nuove acquisizioni non servono a mutare il corso già scritto degli eventi artistici, ma aggiungono piccole tessere ad un mosaico già ricco. Si colloca in questa dimensione la riproposta della galleria “Arianna Sartori Arte” di Mantova del pittore di San Benedetto Vasco Corradelli, la cui opera rischia di rimanere sepolta nell’oblio. E pure, l’opera di Corradelli testimonia ancora una presenza che vale la pena di recuperare e ricordare, ad iniziare dai suoi anni giovanili, di cui abbiamo solo pochissime testimonianze dirette di segni e opere, ma di cui rimane la memoria di un talento. E’ il talento a spingere i genitori (non si scordi: siamo alla fine del terzo decennio del secolo scorso) a Consentire al figlio il trasferimento a Roma, dove il giovane Corradelli accosta la pittura frequentando l’accademia.

Boschetto con lanca del PoLa biografia di Corradelli testimonia le difficoltà del tempo; raggiunta l’età per la “chiamata” alle armi, a Corradelli toccano anni di servizio e di armi, che culminano con il richiamo nella seconda mondiale, dove viene fatto prigioniero in Sicilia dall’ esercito alleato che risale lentamente la penisola. E’assai probabile che il giovane abbia utilizzato la memoria di quanto appreso anche in quella buia stagione; che, pur nella disgrazia, apre uno spiraglio per il giovane, liberato a Roma a metà del 1944, un anno in anticipo per la capitale nei confronti delle rimanenti regioni ancora occupate dall’esercito tedesco. A Roma avviene la ripresa, il recupero non solo delle energie, ma anche di quelle abilità che proprio a Roma avevano ricevuto un indirizzo, alcune guide, i binari di un sapere professionale, che gli sarà compagno nella sua vicenda espressiva. Quasi quindici anni senza dipingere o comunque dipingendo e disegnando poco: i paesaggi del Po, iniziati in età giovanile, le immagini dal vero, in una stagione realistica quale fu quella italiana nell’ età tra le due guerre, non hanno puntuali testimonianze espressive nel lungo “vuoto”; qualche opera si trova ancora tuttavia nelle collezioni degli amici, segno dunque che la sua passione per la pittura non si spegne nonostante le disagiate condizioni in cui è costretto ad operare. Roma è libera; riprendono le attività, riprende anche l’arte; anzi proprio Roma celebra in forme pittoriche riconducibili alle cadenze espressioniste la nuova dimensione civile. L’estate della liberazione è anche quella della celebre mostra collettiva dedicata ad un futuro che si intravede, ma che ancora non si può toccare: “L’arte contro la barbarie” è la mostra in cui espongono tutte le nuove forze espressive romane, gli esiti di quella scuola che aveva preso avvio proprio negli anni della prima permanenza di Corradelli nella capitale, quella “scuola di corso Cavour”, come la volle definire Longhi che declinava espressività con un’ apertura immaginativa che cozzava contro gli schemi novecentisti.La boschina (paesaggio del Po)Ritratto di FelderRitratto di AdrianaGiovane romana (Ritratto di Adriana) E se in Corradelli non sono ravvisabili gli ambiti narrativi della cultura novecentista, ciò è dovuto in parte ad una predisposizione naturale, quale si avverte nelle piccole tavole giovanili, ma forse anche da quella lezione, non sappiamo quanto letta e conosciuta, che emerge dalle macerie di una guerra devastante.

Corradelli lavora in un laboratorio di restauro, a contatto dunque con le tele che testimoniano da noi l’ampia pagina culturale che ha attraversato per secoli la nostra civiltà espressiva. Da questo punto di vista, da questa condizione privilegiata, il Novecento che di solito si interpreta come uno scontro tra “avanguardie” e “antiavanguardie”, si ripropone attraverso una vasta zona “franca” che vive in forme autonome, lontana dai clamori e sovente dalle tensioni della contrapposizione; percorso che ripete il racconto, si accosta con misura al vero, mantiene l’intima consapevolezza che nell’invenzione dell’arte deve pur sussistere un barlume di riconoscibilità verosimile, non disgiunta da quell’emozione interiore che esalta ogni rappresentazione.

Per Corradelli il richiamo espressionista che viene dalle correnti antinovecentiste è uno stimolo salutare; si declina con l’incedere lento che ha il visitatore del nostro grande fiume, si declina con una pittura che vuole leggere la realtà, senza racchiudersi in essa. Proprio a Roma prende avvio un’attività pittorica con cui a lungo il pittore si cimenta nel corso della sua vicenda, il genere del ritratto; il primo dei quali è quello di un “uomo con pipa ”; costruito su tavola (“Ritratto di Felder”, recita il titolo) ci segnala l’attenzione dell’artista al restauro, al gusto per le pagine lette nell’attività giornaliera (solo di sera, il pittore si concede ancora studi in un’accademia privata). Il ritratto non è tuttavia ascrivibile all’accademia; c’è attenzione alla psicologia del personaggio, attenzione ai valori tonali, che si evidenziano, nonostante i lievi guasti del tempo. Emerge la distanza del nostro dai valori di Novecento Italiano: non vuol essere un magniloquente cantore di magnifiche sorti progressive Corradelli; osserva attento, probabilmente silenzioso e appartato, come ci riportano le memorie che lo dicono uomo schivo e riservato, dalla pittura trae una conoscenza che si intreccia con l’emozione. Pittura da cogliere nell’intensità dell’espressione, nella forza del colore che illumina i pensieri lontani del signor Felder, tutto teso a osservare un altrove che non possiamo conoscere.

Fin da subito, Corradelli si propone a noi attraverso prove mature, con una pittura a metà strada tra realtà ed emozione, tra tensione espressiva per la verità del narrato e per dare alla figura una sua verità, una sua individualità. La serie di ritratti che apre in una certa misura con una discreta continuità questa rivisitazione antologica appare costruita tra Roma e San Benedetto, dove il pittore ritorna a guerra finalmente e per tutti finita.

Non inganni la data anticipata di un decennio per burla, collocata in calce al “Ritratto di Adriana” (che conosce a Roma e sarà poi sua moglie): il ritratto è databile al 1944-45, come diversi altri; documenta la forza di una pittura che sembra esaltarsi per la solare bellezza di quella che sarà la sua compagna. Adriana ci guarda con fiducia,è aperta al mondo; alle spalle un accenno di paesaggio indefinibile, di certo non riportabile alla nostra pianura che lambisce il grande fiume: è una giovane donna che osserva serena la vita con speranze e certezze. In questo senso, il ritratto sembra idealmente aprire il secondo dopoguerra, per la vita e per l’opera del pittore mantovano.

Nella dimensione quieta di una famiglia costruita dopo la bufera, la pittura diviene il sogno,l’avventura, l’uscita dalla quotidianità: gli amici mantovani, da Giorgi a Bernardelli, al poeta Bellintani, il bisogno di rapportarsi con una realtà che non fosse solo quella necessaria della bottega appaiono come i riferimenti di un singolare cammino che iniziato nella stagione tra le due guerre, di fatto si distende in forme piene solo negli anni del secondo dopo guerra.

2. Corradelli riprende con la pittura; riparte dal paesaggio e dal ritratto. A lungo i due generi rimangono i luoghi della sua pittura; poi, con il tempo, entreranno nella sua riflessione i temi del sacro, immagini allegoriche, una dimensione del quotidiano che entra nella vicenda poetica con le sue tragedie. In Corradelli appaiono echi individualmente e in solitudine rielaborati, delle grandi esperienze del periodo: la cultura del chiarismo per esempio che proveniva dalla stagione prebellica, le esperienze realiste, che avevano in Suzzara il loro luogo di riferimento; stupisce la precoce attenzione verso lo sfaldarsi e frantumarsi della materia, proprio in quegli ambiti stilistici che Francesco Arcangeli da Bologna viene definendo con la formula del “neonaturalismo padano”: una pittura che incontra la vicenda informale, mantenendo intatto lo sguardo diretto sulla realtà, che non viene mai dimenticata. Fin dal ritorno dopo la guerra e la prigionia, il paesaggio padano diviene riferimento significativo nel pittore mantovano: opere come la “Casa sull’argine ” o “La golena ”, databili tra il 1946 e il 1948 appaiono costruzioni poetiche in cui il paesaggio si riveste di emozioni, sia nell’attenuazione della natura rigogliosa, sia nella solitudine che le cose manifestano nella pittura dell’artista mantovano. Pagina importante di quell’identificazione con i luoghi dell’infanzia si può cogliere in opere come le “Querce” (1946-48), che sembrano parlare con la forza della materia pittorica, prima ancora che con quella dell’iconografia.

Casa sull'argine

La golena

Querce

Il pittore distende la sua attività su direttrici più ampie; arricchisce il suo spettro espressivo; al ritratto e al paesaggio viene aggiungendo le “nature morte”, come “Le mele” realizzate alla metà degli anni sessanta, in cui il suo sguardo sembra stemperarsi nei toni, che rinviano alla contemporanea pittura dei grandi narratori mantovani. Corradelli ci appare sempre più attratto dal paesaggio, genere che ritroviamo fino agli anni ottanta. E’ mutato tuttavia il clima, e i suoi barconi (“Burchiello sul Po”, 1975-80) o i suoi sguardi sulla pianura (“Casolare sotto la neve”, non datato ma dopo il 1980) appaiono costruiti in forme più delicate, tonali.

Le mele

Burchiello sul Po

Casolare sotto la neve

Corradelli ha trasportato in altre immagini l’inquietudine di tempi non certo sereni e il paesaggio sembra diventare luogo di riposo, di rasserenamento quieto. Con gli anni sessanta, con l’avvento delle neo-avanguardie il pittore avverte probabilmente la necessità di “fare un passo indietro”: come molti della sua generazione, di fronte alle ricerche linguistiche delle neo-avanguardie, di fronte alle irruenze tanto degli accenti pop, quanto delle nuove dimensioni che mescolano arte e vita, Corradelli avverte un che di estraneità. Tutta una generazione che ha costruito il dopoguerra viene di colpo, o quasi di colpo, accantonata. Ma Corradelli continua a dipingere. Ama la pittura, e la utilizza per esprimere un ricordo, come quando ricostruisce le scene di una “mietitura" che non c’è più (tele degli anni settanta) e di una vita agreste che appartiene soltanto alla sua memoria. La scelta della memoria, del ricordo favorisce nel pittore di San Benedetto una diversa risposta espressiva, tende Corradelli sempre più verso due componenti in parte in contraddizione tra loro:da un lato il simbolo, dall’altro lo sfaldarsi della materia. In quest’ambito va tuttavia menzionata una piccola opera, “Buoi nella pianura”, in cui lo sfaldarsi delle forme e l’impasto delle cromie traducono una dimensione emotiva di consistenti qualità espressive, e l’opera ci appare come una raffigurazione tra materia e memoria.

Mietitura al tramonto

Buoi nella pianura

L’apertura simbolica gli viene dall’accostamento al sacro, tema che emerge sempre più con chiarezza e rigore a partire dagli anni settanta. Come spesso è accaduto nel secolo scorso, il tema del sacro si presta ad una riflessione personale; sulle grandi pagine di una millenaria tradizione si trasferiscono le tensioni individuali. Su un altro versante, in Corradelli emergono riflessioni sui grandi eventi della storia (dalle ingiustizie alle carestie): i simboli di un tempo inquieto, non più descritti, appaiono sublimati attraverso l’immagine che diviene per il pittore tanto una riflessione civile, quanto una riflessione sulla vita (si pensi ad opere come “Il tempo”, databile alla fine degli anni sessanta).

Cristo la Sindone

Relitti-Purificazione

Il tempo

I temi sociali e politici fanno capolino tra le iconografie desunte dalla storia dell’arte; in alcuni casi appaiono attraverso il frantumarsi delle misure, come in “Natura morta con conchiglie” (ca. 1970), in cui la rottura dell’ordinario incedere della narrazione favorisce la riflessione su una realtà divenuta incomprensibile. Le accensioni espressive originarie, collegabili all’espressività realista si erano stemperate nel corso degli anni, nella sua ultima stagione riemergono e trovano nuova linfa in queste palpitazioni di senso e di cromie, di gesti e di materie: si pensi ad un opera, chiaramente ispirata alla poesia di Lorca, intitolata “Alle cinque della sera”: siamo ancora alla fine del decennio sessanta.

Natura morta con conchiglie

Alle cinque della sera

Corradelli ha raggiunto una sua maturità, sa come organizzare forma e materia; è consapevole che la sua ricerca si trova costantemente in bilico tra realtà ed irrealtà, tra adesione al narrato e aperture emotive della forma: un equilibrio instabile e tuttavia necessario per dare compiutezza all’immagine.

E sono i palpiti e le intensità espressive che traducono il senso di un disagio che dalla quotidianità della vita tracima nello stile, che non sembra più, nella sua logica formale, avere la forza per tutto inquadrare o per tutto contenere. E’ forse questa la ragione di una oscillazione stilistica che accumula in cronologie ristrette differenti esperienze; nei limiti di una produzione appartata, nell’isolamento dello studio, Corradelli traduce immagini più con apprensione che con aperture. Gli anni felici delle partecipazioni attive, delle mostre, che ne caratterizzano la vicenda umana nei primi due decenni del secondo dopoguerra sono ormai lontani; rimane il silenzio dello studio, uno scomporsi delle tensioni espressive; ma anche nella chiusura, il pittore rimane uno specchio fedele di un tempo inquieto, che solo la pittura può tradurre compiutamente. Tra emozione e ragione, tra sentimento e racconto, tra simboli e tensioni religiose consumate attraverso iconografie espressioniste, il percorso di Corradelli sembra testimoniare involontariamente il disagio di un’arte che ha convissuto con la complessità rischiando ogni momento di esserne travolta.

MAURO CORRADINI
Brescia, maggio 2006